Famiglie tainesi: Giudici

di Laura Tirelli

La famiglia Giudici è ben nota a Taino perchè da tre generazioni gestisce il forno e la panetteria di via O.Pajetta.
Il fondatore è stato il nonno dell’attuale titolare, Carlo, nato a Barasso nel 1892 e venuto a Taino nel 1919 dove rilevò insieme ai fratelli, Alfredo e Gina, un forno che si trovava nel cortile sito al termine di contrada Amalia (via Vittorio Veneto) nei locali di proprietà di Franco Paietta. Dopo qualche anno, Alfredo e Gina lasciarono Taino. Carlo invece continuò la propria attività che nel frattempo aveva trasferito nella corte dei “Campari”, dove tutt’ora si trova. La corte dei “Campari” ha questo nome perchè originariamente vi abitavano le famiglie dei “campè” gli uomini incaricati dai Serbelloni di controllare il lavoro dei campi.
Il forno di Carlo Giudici è stato per la corte, oltre che un servizio, anche un luogo di ritrovo e di unione della gente del cortile. Tutti condividevano le stesse condizioni e gli stessi problemi come fossero una sola famiglia. Le donne, ad esempio, facevano il bucato nel cortile in grandi mastelli e poi si aiutavano tra loro a strizzare le lenzuola. Nelle sere d’inverno, per scaldarsi un po’, al forno si presentava la Marianna o la Filina che portava due mattoni a scaldare e che una volta ben caldi poneva nel suo letto. In certe occasioni, per la festa di S.Giuseppe ad esempio, dolci profumi emanavano dal forno e riempivano l’aria della corte, allora i più golosi dei suoi abitanti uscivano di casa, si avvicinavano al forno e Carlo volentieri faceva assaggiare agli amici i suoi deliziosi tortelli.
Altre ben note “specialità” della panettieria Giudici erano la “brusela”, un pane con l’uva americana, e il “pan de margun”.

Abitavano originariamente nella corte dei “Campari”, oltre alla famiglia Giudici, i fratelli Bielli, Mario detto “Cadregià”, Adelina “Piciota” con le sue figlie Piera, Camilla e Lina. Poi la famiglia Villa, i Mobiglia, Antonietta Bielli con le figlie Olga, Ninin, Libera ed Elsa. Mario Mira d’Ercole, Pierre Pecchio e la sua mamma Marianna, Franco Berrini e, sull’angolo del “torch,” il parrucchiere Arturo Mira d’Ercole. Infine Lina Albini con il marito. Lina faceva la sarta ed era chiamata “Filina” e “Filin”, suo marito, di professione calzolaio.
Carlo Giudici si era sposato in età avanzata, a 38 anni, con Rosa Cardani di Lisanza, più giovane di lui di 16 anni. Inizialmente la differenza di età aveva trattenuto Rosa dall’accettare la proposta dell’intraprendente panettiere che ogni giorno con il suo carretto tirato da un cavallo, le portava il pane. Infine l’assiduità e le attenzioni di Carlo fecero breccia nel suo cuore, un cuore purtroppo malato che le impedì una vita lunga. Rosa morì a 54 anni nel 1963, solo un anno dopo la morte del marito.
Carlo e Rosa ebbero due figli, Romolo, nato nel 1934, e Mariuccia nata nel 1938. Entrambi hanno continuato la tradizione familiare di artigiani-commercianti.

Romolo, insieme alla moglie Ines Balzarini di Lisanza, ha portato avanti l’attività paterna. Fu molto appassionato del suo lavoro, che cercò sempre di migliorare frequentando anche corsi specializzati, soprattutto di pasticceria. La stessa passione l’ha ereditata la figlia minore Carla che, insieme al marito Remo Reina, gestisce attualmente il forno e il negozio.
Mariuccia ha sposato nel 1961 Renzo Riva, originario di Cellina di Leggiuno e insieme a lui, subito dopo il matrimonio, ha aperto un negozio di macelleria-salumeria in piazza Patrioti, attività continuata poi, negli anni successivi, nel supermarket di via Garibaldi.

I tempi hanno modificato molte cose, compreso il sistema di lavorazione e produzione del pane. Oggi i panettieri possono utilizzare macchine automatiche, farine più elaborate, però, per quanto riguarda la panetteria Giudici, la tradizione e la lavorazione artiginale ha ancora un posto importante e anche lo spirito del negozio, dove la gente si incontra, scambia quattro chiacchere, ha quel sapore di familiarità e amicizia che è sempre stato tipico della corte dei “Campari”: valori e sapori antichi che vale la pena non perdere.

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