Il luogo della memoria: la Polveriera

a cura della Redazione e di Lina Movalli
foto di Giandomenico Terzoli

 

I lavoratori della Polveriera di Taino. Anni 30
Interno della Polveriera. Anni 30

LO SCOPPIO

Una comunità che non serba la memoria del proprio passato non potrà mai guardare con fiducia al futuro.

La proposta di ricordare le Vittime del Lavoro Tainesi  ha incontrato l’approvazione di molti lettori che ci hanno richiesto, proprio in relazione al tema del lavoro, di ricordare e far conoscere, soprattutto ai più giovani, la storia della Polveriera e l’importante ruolo che questa fabbrica ha avuto nella vita della gente di Taino per quasi sessant’anni. Volentieri rispondiamo a questa richiesta anche se già altri articoli e pubblicazioni hanno riportato notizie relative a questa azienda (1).
Riprendiamo ora il discorso in modo diverso e inedito ricostruendo gli aspetti più significativi della lunga vita della Polveriera attraverso i ricordi e i racconti degli stessi protagonisti che in questa fabbrica hanno trascorso moltissimi anni della loro vita.
L’ampiezza dell’argomento non ci consente di esaurire questo tema in un solo articolo. Iniziamo con le prime testimonianze raccolte.
Esiste una zona fra storia e memoria, fra passato come archivio generale e il passato come parte dei ricordi personali. E’ in questa zona che ci addentriamo per ricostruire l’episodio più drammatico della storia della Polveriera con l’aiuto di Carla Tonella che nella fabbrica ha lavorato per quarant’anni, iniziando giovanissima nel 1933. La Polveriera è stata il perno intorno al quale ha ruotato tutta la sua vita: da lì è venuto il suo grande dolore: la perdita della madre nello scoppio del 1935; le sue soddisfazioni: essere stata premiata come “la più giovane anziana” di tutto il gruppo Montecatini nel 1958; le sue delusioni: la definitiva chiusura della fabbrica che lasciò per sempre a mezzzanotte del 25 novembre 1972.
Un sabato d’estate di 62 anni fa, il 27 luglio 1935, Carla si trovava al proprio posto di lavoro nel reparto bossoletteria. Era una ragazzina di 15 anni affezionatissima alla madre, Carolina Tonella di anni 48, che lavorava nella stessa fabbrica.
Alle 14,30, nel calmo pomeriggio estivo, risuonò improvvisamente un immenso boato. Carla realizzò nell’istante stesso in cui lo udì che vi era stata una esplosione e, istintivamente, insieme alle compagne di lavoro, si lanciò all’aperto, corse via e scavalcò il cancello che separava lo stabilimento dalla zona esterna. Ad un tratto si fermò, si chiese: “dov’è mia madre”; terrorizzata ritornò sui suoi passi, riscavalcò il cancello e affannosamente si diresse verso il luogo dello scoppio che era avvenuto proprio nel reparto imballaggio dove lavorava sua madre. Era sconvolta, gli operai correvano verso le uscite, alcuni con il volto sanguinante, altri che urlavano e piangevano.
Qualcuno le impedì di risalire la strada, la bloccarono, la portarono via. Non sa come e chi la condusse a Barzola a casa degli zii. Ricorda che le dissero che la madre era stata ferita, aveva perso una mano, era stata portata in ospedale. Una pietosa bugia. Carla dallo sguardo dello zio comprese che la madre era morta e la conferma della tragedia la ebbe un’ora dopo, quando, tornata sul luogo dello scoppio, vide i soldati del genio civile. Nella sua mente fu chiaro che non c’era più nessuna speranza, i soldati erano lì perchè l’esplosione era stata gravissima.
Altri particolari di questo tragico episodio sono rimasti fissati per sempre nella sua memoria, tutti dolorosissimi: il corpo della madre straziato, ma con il volto ancora riconoscibile, uno dei pochi; brandelli di carne umana ovunque, perfino sugli alberi e il suono continuo e cadenzato delle bindelle del falegname Movalli – il cui laboratorio era davanti a casa sua – dove anche di notte lavorarono nei giorni successivi allo scoppio per costruire le casse ove riporre i poveri resti delle 35 vittime.

Per Carolina Tonella e il suo capo officina, Giuseppe Mira, fu una vera fatalità, solo un ritardo di pochi secondi li avrebbe salvati dalla morte. Dal racconto di un testimone si seppe che la madre di Carla poco tempo prima dell’esplosione era uscita dal fabbricato e si era diretta alla palazzina uffici per chiamare il capo officina Mira di cui si aveva bisogno.
Dagli uffici ripercorse insieme a lui la strada verso il suo reparto. Lungo il tragitto furono raggiunti dall’operaio Piscia che richiese al capo officina dei chiarimenti su un disegno. I due uomini si fermarono per qualche istante sul terrapieno, Carolina Tonella proseguì. Giuseppe Mira si chinò e fece dei segni sul terreno per chiarire i dubbi dell’operaio, poi lo lasciò, passò oltre il terrapieno e varcò la porta del fabbricato imballaggio: esattamente in quell’istante avvenne l’esplosione e ben poco di lui e degli altri sedici tainesi che lì lavoravano fu ritrovato.
Carla Tonella, dopo questa grande disgrazia, avrebbe potuto lasciare la Polveriera come fece la sua amica Giuseppina Bielli spaventata da tutto quello che aveva visto. Ma non lo fece e continuò a lavorarci per altri 38 anni provando un sentimento di affetto per il lavoro, i compagni, i dirigenti. E’ sempre esistito infatti un legame particolare tra i tainesi e la Polveriera: un sentimento misto di amore e paura, di orgoglio e soddisfazione. “Eravamo una grande famiglia” sono le parole che spesso ripetono gli ex-dipendenti con fierezza e tra i lavoratori vi era grande solidarietà, la solidarietà che nasce dal pericolo, un valore grande che i Tainesi non hanno mai dimenticato.

Serena Mira che lavorò per 29 anni nel reparto miccia, uno dei più pericolosi, ancora oggi ricorda con tanto affetto il suo posto di lavoro. “Sono stata fortunata” dice “non mi è mai capitato niente, ogni mattina però, prima di mettermi al lavoro, mi facevo il segno della croce, non ero certa che sarei tornata a casa alla sera dalla mia bambina, poi però non ci pensavo più” e, per otto ore, in turni alterni, lavorava al caricamento delle micce, chiusa da sola per sicurezza in un gabbiotto dove seguiva con la massima attenzione il filo sottile che si copriva di polvere nera, altamente esplosiva, e se il filo si spezzava durante il bagno nel catrame, infilava le mani nella bacinella e riagganciava il filo. Il ritmo di lavoro era intenso, bisognava rispettare i termini di consegna, soprattutto nel periodo dei lavori per il traforo del Monte Bianco per il quale la Polveriera di Taino produsse chilometri e chilometri di miccia detonante.
Meno fortunata è stata Genoveffa Ballarini, operaia del reparto caricamento che subì due infortuni. Il primo accadde pochi giorni dopo la sua assunzione, il 10 febbraio 1939. Un suo collega pressava la polvere dentro la tramoggia e questa esplose. L’uomo rimase ucciso, Genoveffa che era vicino a lui fu ferita alla schiena, la spinta dello scoppio le causò la frattura di due costole.

Il secondo incidente le accadde tre anni dopo, nel 1942. La polvere esplose sul suo tavolo di lavoro mentre la pressava nelle palmelle. Il tavolo di appoggio andò in mille pezzi ferendole gravemente le gambe e la polvere nera ricoprì tutto il suo corpo, solo gli occhi furono protetti dal braccio che istintivamente aveva alzato. Le ci volle un anno di cure per riprendersi dalle ferite. Malgrado queste brutte esperienze Genoveffa continuò a lavorare in Polveriera per altri 30 anni perchè dice “nonostante il pericolo il mestiere mi piaceva, non era un lavoro faticoso, si provavano grandi soddisfazioni, nel mio reparto eravamo tutte donne e sempre insieme in amicizia”.
Con il passare degli anni il dolore per le vittime e i mutilati (alcuni lavoratori hanno perso la vista, altri un braccio o le dita delle mani) si è ovviamente attenuato e anche la paura e la delusione per i posti di lavoro perduti con la chiusura della fabbrica sono oggi un lontano ricordo. Però, per le implicazioni affettive, per quello che ha significato e per quello che i tainesi hanno pagato in termini personali, la Polveriera non può essere dimenticata: essa è parte integrante della memoria collettiva e il luogo ove sorgeva merita di essere conservato con il massimo rispetto.

 

ERAVAMO UNA GRANDE FAMIGLIA

La Polveriera non ha rappresentato solo il luogo della paura e del dolore, ma anche della gioia, dell’allegria e dell’amicizia, e sono proprio i momenti più felici che intendiamo ora ricordare con l’aiuto di Carla Ghiringhelli Elli, Rachele Peretti Ghiringhelli e Loredano Ghiringhelli.
Innanzitutto va detto che la fabbrica della Montecatini ha dato ai tainesi lavoro e con il lavoro la possibilità di migliorare le condizioni economiche delle famiglie. “Se abbiamo realizzato di avere tutti una casa, dice Carla Ghiringhelli, lo dobbiamo alla Montecatini”
Negli anni ’30 i giovani di Taino e dei paesi vicini non vedevono l’ora di avere l’età per essere assunti in Polveriera.
Rachele Peretti ricorda l’ansia con cui aspettava di compiere i 14 anni, per avere il libretto di lavoro e far parte della grande fabbrica: “Il giorno dopo il mio quattordicesimo compleanno, nel gennaio 1937, entrai con orgoglio in Polveriera, mi sentivo grande, e con i soldi della mia prima paga, œ.46, acquistai un paio di scarpe, per me fu una grande soddisfazione”.
Anche Carla Ghiringhelli ricorda il suo primo giorno di lavoro al Campaccio: “avevo 15 anni quando per la prima volta varcai il cancello della SGEM (2), avevo già lavorato un paio d’anni al Bernocchi, ai miei tempi si incominciava presto, la Polveriera però mi dava soggezione e quando mi presentai in quel lontano giorno di settembre del 1934 ero impaurita e po’ frastornata. Mi venne incontro Marco Mira d’Ercole, responsabile dei reparti, che comprendendo il mio stato d’animo, con gentilezza mi prese per mano e “su Nin non temere” mi continuò a ripetere mentre di persona mi condusse al mio posto di lavoro”. Questo gesto che Carla non ha dimenticato è un esempio del rapporto di cordialità e amicizia che spontaneamente si instaurava fra la gente della Polveriera.

“Eravamo tutti giovani e tutti amici” dice Loredano Ghiringhelli che è stato operaio attrezzista nel reparto officina per 28 anni e uno degli organizzatori delle attività del Dopolavoro.
L’ENAL aziendale ha avuto un ruolo importante nella storia della Polveriera. Le varie feste, le numerose gite, le gare di bocce e di scopa, le manifestazioni sportive hanno rappresentato un punto di raccordo e di unione fra i dipendenti della Montecatini. I giovani avevano occasione di incontrarsi anche fuori dal lavoro, si stabilivano amicizie, scambi di interessi comuni e sono fiorite anche molte storie d’amore, alcune delle quali si sono felicemente concluse nel matrimonio. Carla Ghiringhelli ha conosciuto e sposato Natalino Elli, Loredano Ghiringhelli si è unito in matrimonio nel 1945 con Rachele Peretti, Angela Tollini ha incontrato Carlo Longoni, Gianna Borra ha sposato il collega Emilio Ramaglia, Angelo Bielli è convolato a nozze con Lidia Agostani, e tanti altri ancora sono state le felici unione nate al Campaccio.
La domanda che viene spontanea è come mai tanta amicizia, quali erano le condizioni che permettevano ad ogni lavoratore di sentirsi parte di questa grande famiglia?
“Eravamo tutti nelle stesse condizioni, avevamo tutti molto poco, ci bastava l’allegria e la gioia di cantare. Cantavamo sempre andando al lavoro o tornando a casa tutti insieme” dice Carla Ghiringhelli che in Polveriera ha lavorato 36 anni, e soggiunge: “lì c’era brava gente, serena e allegra, i giovani avevano grande rispetto dei lavoratori più anziani, ognuno divideva senza paura i suoi problemi con gli altri e tutti erano ascoltati, non c’era invidia ma dialogo tra noi”.
Ecco perchè i tainesi ricordano con nostalgia gli anni trascorsi in Polveriera.

Non vi era il benessere di oggi, ma la gente si sentiva più felice, più spensierata e le amicizie e i rapporti interpersonali erano facilitati dall’avere in comune lo stesso lavoro, gli stessi momenti di svago.
L’atmosfera di cordialità coinvolgeva anche i dirigenti, i capireparto, i capiofficina i quali avevano un comportamento amichevole e protettivo verso i loro operai. Loredano Ghiringhelli ricorda un episodio che dimostra l’attenzione della dirigenza verso i lavoratori: il direttore della fabbrica, dottor Lamberti, nei primi giorni di gennaio del 1945, prevedendo o forse sapendo di un prossimo bombardamento alleato alla fabbrica, si recò in officina e offrendo una sigaretta a tutti i presenti invitò fermamente i suoi operai a non sottovalutare il segnale di allarme e raccomandò loro di recarsi immediatamente ai rifugi.
Carla Ghiringhelli prova ancora gratitudine e affetto per il capoufficio del personale, Secondo Toso, che con grande umiltà, senza chiedere mai nulla, era sempre gentile e disponible a dare il proprio aiuto a tutti.

I dipendenti si sentivano legati all’azienda e alla sua storia, legame che in molti si mantenne vivo anche a distanza di anni. Un esempio concreto di questi sentimenti ci viene dalle parole che il vice-direttore Dott.Positano scrisse da Orbetello il 28 ottobre 1958 a Carla Tonella: “Cara Carla, come le avevo promesso prima di lasciare lo stabilimento di Taino di non dimenticare i vostri Cari, caduti sul lavoro, è arrivato il momento di mantenerlo. La prego perciò di voler mettere su quella tomba un mio simbolo che rispecchi quanto sento per Loro. Anche noi qui faremo la stessa funzione e pregheremo per la pace eterna di quelle anime benedette. Mi ricordi a tutti gli amici di Taino che ricordo sempre molto caramente. A lei molte cordialità.”
Per i tainesi era una soddisfazione far parte di una grande azienda, che non lesinava riconoscimenti ai suoi dipendenti, come premi aziendali, soggiorni gratuiti nella sua case di riposo a Seiano, presso Napoli, o vacanze in alberghi di lusso, viaggi e visite premio ad altre fabbriche del gruppo, o facilitazioni come alloggi per i dipendenti scapoli, spaccio aziendale ecc.
Ogni anno al 1° maggio venivano premiati i lavoratori anziani (25 anni di lavoro) e anzianissimi (35 anni) e tutta la fabbrica era in festa. Ai premiati la ditta offriva una pergamena con la medaglia ricordo, un oggetto d’oro, l’ammontare di uno stipendio mensile, e una gita turistica. Un’altra grande festa collettiva avveniva nel giorno di S.Barbara, patrona della Polveriera, il giorno 4 dicembre. Tutti aspettavano con ansia questo giorno che dopo la S.Messa, il pranzo in mensa, si concludeva con un gran ballo serale che si teneva nei locali del circolo operaio o nel garage Beltramini e da ultimo, dopo la guerra, nei locali del CRAL appositamente costruiti dalla Montecatini.
Ballare e stare insieme era un grande divertimento per i giovani, “ci si accontentava, dice Carla Ghiringhelli, di uno scassato giradischi al quale, a turno, tenevamo ferma la puntina, se no saltava in aria e ballavamo al suono delle musiche allora in voga come la Cumparsita, la Paloma, il tango della gelosia.”

Tempi lontani, ma che hanno profondamente segnato la vita dei tainesi e dei quali il ricordo è ancora molto vivo.
La Polveriera ha rappresentato molto di più di un posto di lavoro perchè era considerata da tutti come una famiglia e la famiglia, anche nei momenti difficili o meno felici, è il punto saldo nella vita di ogni individuo. Per questa implicazione affettiva, forse più che per la perdita del posto di lavoro vicino a casa, i tainesi hanno sofferto moltissimo a seguito della chiusura della fabbrica.
Carla Ghiringhelli aveva lasciato la Polveriera da due anni quando questa chiuse i battenti, ma ne rimase lo stesso profondamente ferita. Quel giorno si recò con il cuore gonfio in Cimitero davanti alla cappella delle vittime dello scoppio e, piangendo disperatamente, continuava a ripetere: “Vi siete sacrificati inutilmente, non sono riusciti a salvare niente”.
I Tainesi non hanno mai perdonato alla Montedison di averli privati della loro “grande famiglia”.

 

IL CRAL

I ricordi della mia giovinezza
erano la mia sola forza, perchè
in essi era la riserva morale
con la quale affrontare le
avversità della vita.
(Ignazio Silone)

Il CRAL è stato un luogo strettamente legato alla storia della Polveriera e ancora molti Tainesi lo ricordano e lo rimpiangono. In questo edificio alcune generazioni di giovani e adulti hanno trascorso i loro momenti di svago, in compagnia di coetanei ed amici. Oggi i giovani hanno tante possibilità di diverimento e i mezzi per spostarsi da un posto all’altro, ma alla fine degli anni ’50 e nei primi anni ’60, per i giovani Tainesi il luogo di ritrovo e di incontro fu essenzialmente il CRAL, la cui presenza divenne un richiamo anche per persone di altre località: veniva gente da Sesto, da Gallarate, Legnano, Busto e Castellanza, sicchè Taino, grazie proprio al CRAL e ai suoi intrattenimenti danzanti, acquistò in quegli anni una certa rinomanza ed era, al sabato e alla domenica, pieno di gioventù.

Il dopolavoro aziendale per i dipendenti della Polveriera era stato creato già prima della guerra, però non aveva una sede apposita. Il presidente dell’ENAL, Mentasti, e il segretario, Loredano Ghiringhelli, nei primi anni ’50, si recarono a Milano e proposero alla Direzione generale della Montecatini di provvedere una sede per il dopolavoro, come era stato fatto per i dipendenti di altre aziende del gruppo. La Montecatini acconsentì e acquistò un terreno di proprietà del Beltramini, non lontano dalla scuola elementare, e affidò il progetto dell’edificio a Ezio Berrini.
Nel 1954 il CRAL fu aperto. Nel giardino intorno all’edificio, costituito da due piani, fu attrezzata un’area per il gioco delle bocce e un campo di pallacanestro.
All’interno fu allestita una sala bar, una sala per il biliardo, un grande salone per le feste da ballo, una sala per la televisione, servizi e ufficio. Al primo piano un piccolo appartamento dato in uso al gestore e custode che fu per circa un anno Mario Brovelli, e poi, per 17 anni, finchè il CRAL rimase in vita, Giovanni Dal Bo’ che se ne occupò insieme alla moglie e alla cognata. Quasi tutti i giovani, dopo cena, facevano una capatina al CRAL o si ritrovavano al sabato e alla domenica. Era un luogo adatto per tutti e Giovanni Dal Bo’ fu sempre molto attento che il comportamento dei frequentatori fosse corretto. Quando c’era il ballo, poi, due carabinieri erano sempre presenti. Naturalmente non si possono fare confronti con la situazione di oggi, viviamo in una realtà diversa, però è certo che i genitori di allora non avevano preoccupazioni, sapevano che i loro figli si ritrovavano in un ambiente sano e piacevole.

Nei locali del CRAL furono organizzate dall’ENAL della Montecatini le feste danzanti nel giorno di S.Barbara e molti altri intrattenimenti, come corsi di ginnastica o di danza per i bambini, giochi di società, mostre di pittura, cacce al tesoro.
C’era molta vita e vivacità intorno al CRAL. Con la chiusura della Polveriera scomparve anche il dopolavoro e l’edificio del CRAL fu concesso in comodato all’Amministrazione Comunale. Per quasi 10 anni, dal 1974 al 1993, è stato sede della Scuola Media.
Ora, provvisoriamente, alcuni locali sono utilizzati dalla Cooperativa sociale Erre-Esse, ma l’edificio non è in buone condizioni, infiltrazioni d’acqua ne hanno danneggiato soffitti e pareti. Il CRAL oggi ha un’aria vetusta, di decadenza, e, a guardarlo, ispira un senso di tristezza, soprattutto a coloro che nei suoi locali hanno trascorso tante ore liete della loro giovinezza.

 

I COREANI

Tra le migliaia di persone che hanno lavorato in Polveriera, vogliamo ricordare coloro simpaticamente definiti come i “Coreani”, perchè questo soprannome è diventato famoso e ben conosciuto da tutti i tainesi.
L’appellativo “Coreani” fu attribuito a quei lavoratori che provenivano da Villafranca in Lunigiana, cittadina della Toscana, in provincia di Massa e Carrara in cui era presente un’altra fabbrica di esplosivi della società Montecatini.
Durante la guerra questa Polveriera venne bombardata e cessò di operare. L’azienda offrì ai lavoratori del luogo, dopo la definitiva chiusura della fabbrica, nei primi anni del dopoguerra, di trasferirsi a Taino per continuare la medesima attività.
Fu un operaio proveniente da Villafranca, di nome Madonna, e il tainese Luigi Del Torchio che inventarono l’appellativo “Coreani”, per indicare i loro colleghi provenienti da Villafranca, per un preciso riferimento alla guerra di Corea (1950-53) che si svolgeva in quegli anni. I lavoratori di Villafranca non venivano a Taino soli, ma sempre in gruppo, e questo loro modo di spostarsi insieme richiamava per analogia la tattica dei rapidi spostamenti in piccoli gruppi utilizzata dai guerriglieri coreani.
Questo curioso appellativo prese piede e continuò ad essere usato per parecchi anni anche quando tutti i “Coreani” erano ormai di fatto tainesi.
Oltre una quindicina di famiglie si trasferirono da Villafranca a Taino negli anni ’50, però oggi ne sono presenti molto meno.
Altri toscani in seguito vennero a Taino, specialmente dai paesi intorno al Monte Amiata, ma l’appellativo “Coreani” restò esclusivo dei nostri concittadini originari di Villafranca.

1.La famiglia di Bruno Rigoni con la moglie Erminia e le figlie Maria Teresa, Franca e Carla e UgoBruno Rigoni fu il primo “coreano” a venire a Taino nel 1945. La sua mansione fu quella di autista. Un altro autista proveniente da Villafranca fu Giovanni Bazzali che sposò la tainese Gina Brentan.

3.Irma Bergantini. Il padre di Irma, Emanuele, venne per primo a Taino, poi fu raggiunto dalla moglie e dai figli Giorgio e Irma, che sposò il tainese Giuseppe Mira

4. Pietro Moscatelli, primo a destra, si trasferì a Taino nel 1952 con la moglie Vera Botto, maestra elementare, che insegnò a Taino per ventisette anni, e i due figli

6. Pietro Moscatelli ebbe una grande passione per il calcio. Da giovane giocò nella squadra della Carrarese. Seguì attivamente la squadra della Montecatini, come allenatore e organizzatore dei tornei.

8.Jone Bergantini con le figlie Fiorella e Carolina, prima ed ultima da destra e le sue figliocce Silvia e Giulia De Sanctis.
Jone venne a Taino nel 1953, sposò il tainese Luigi Del Torchio e, lasciata la Polveriera, per molti anni lavorò presso la nostra Scuola Materna.

10. Pasquina Razzini, la sua mamma Eugenia Orlandi con in braccio il pronipote Marco, il marito, il tainese Berto Berrini. Pasquina venne a Taino nel 1954 raggiungendo il fratello Astore che si era stabilito ad Angera.

Discendenti dei “Coreani”

11. la figlia di Pasquina Razzini, Maria Grazia con il marito Mauro Perfetti e i piccoli Marco e Laura

12. il nipote di Pietro Moscatelli, Massimiliano

13. il piccolo Thomas Hansen, pronipote di Bruno ed Erminia Rigoni

 

I CADUTI IN POLVERIERA

A conclusione delle ricerche e coinvolgenti articoli inerenti “La Polveriera” dedichiamo queste pagine ai quattro tainesi morti sul lavoro dopo la tragedia del 1935.
Non vogliamo usare troppe parole che suonerebbero come inutile e sterile retorica, ci auguriamo solo che il ricordo e il rispetto per queste persone rimanga vivo in paese.

In ordine cronologico i Caduti sono stati:

2 Aprile 1937 – CARLO MAURI nato a Lisanza, ma residente a Taino
Lasciò la moglie Elvira Pedroncelli
ed il figlio Marcello di 3 anni.
Occupato nel reparto caricamento
fu investito in pieno dallo scoppio
di una tramoggia.

21 Dicembre 1941 – MARCO MIRA D’ERCOLE
nato a Taino nel 1892, figlio
di Giovanni(Capeta) e Carolina Tonella
Lasciò la moglie Giuseppina Ponti e due figlie
Gisella ed Ernanna.
Capofabbrica, dalla Polveriera di Taino
fu trasferito a quella di Orbetello.
Lì morì insieme ad altri due colleghi a
seguito dello scoppio, forse doloso,
del deposito esplosivi che si accingeva ad
ispezionare.

15 Maggio 1943 – PIERINO GHIRINGHELLI – nato a Taino nel 1910
Lasciò la moglie Serena Ghiringhelli e tre figli
Silvano di 6 anni, Giovanna di 4 e Sandra di 2.
Avendo perso il fratello Giuseppe nello scoppio
del 1935, rifiutò di lavorare nei reparti di
produzione. Venne assunto come guardia giurata.
Mentre transitava in un corridoio fu investito
da una fiammata fuoriuscita dal reparto
caricamento per lo scoppio di una tramoggia.
(L’addetto al reparto, protetto, si salvò)

28 Marzo 1946 – ROSA BROVELLI nata a Taino nel 1905, nubile
Ultima vittima. Addetta al reparto
inneschi. All’epoca non erano in funzione
i nastri trasportatori e gli inneschi
venivano posti per il controllo su vassoi.
Un contatto causò lo scoppio di tutto il vassoio
che stava esaminando. Ricoverata in ospedale
in fin di vita, morì il giorno seguente.

 

La polveriera oggi

 

Si ringrazia Giovanni Dal Bo’per le informazioni e il materiale fotografico gentilmente concesso.

(1) Sulla Polveriera sono rintracciabili notizie in:

– E.Varalli- S.Stefano Protomartire-1980, pag.193-206
– Taino Arte e Storia 1892-1992, pag.120-127
– L.Tirelli- Taino 1895-1995 dall’asilo infantile alla scuola
materna Maria Serbelloni:uno sguardo su cento anni di storia
tainese, pag.13,17,18,25
– Taino ritrovare le radici cogliere l’incanto-1996, pag.135-155

– La Voce del Dumin 5/95 pag.20-23
– La Voce del Dumin 1/97 pag.38

(2) La Polveriera, creata dalla ditta francese Davey Bickford Smith nel 1914, ebbe, nel corso dei suoi 58 anni di vità, alcune modifiche di proprietà e, conseguentemente, di nome. Nel 1935 era denominata Società Italiana Bickford e fu inserita in una concentrazione di varie aziende produttrici di esplosivi assumendo il nome di SGEM (Società Generale Esplosivi e Munizioni). Nel 1943 si chiamò Nobel-SGEM a seguito di un’altra fusione con la società S.A. Dinamite Nobel. Nel 1952 fu acquisita dalla Montecatini e di questo grande gruppo fece parte fino al 1969, anno in cui nacque la Montedison (unione Montecatini-Edison). Gradualmente la Montedison smantellò la fabbrica fino alla sua definitiva chiusura nel 1972. La proprietà della area ex-Polveriera e dei fabbricati dismessi è passata alla società immobiliare Simmont spa (consociata Montedison).

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